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Architetture

36,00€ 34,20€

Autore Giovanni Rebecchini; Anno Pubblicazione 2006; Formato 21×24; Pagine 240

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IntroduzionePresentazione a cura di Paolo PortoghesiTra le conseguenze più drammatiche che la rivolta studentesca del ‘ 68 ha avuto sulla cultura architettonica italiana c’è stata la separazione drastica tra professione e ricerca. I protagonisti della rivolta disdegnarono l’impegno professionale per rifugiarsi nella gabbia dorata dell’ architettura “disegnata “ interrotta – come allora si diceva – per la scarsa sensibilità della committenza pubblica e privata ma anche per un intenzionale collocazione del progetto in una regione utopica: un “controspazio “ che aveva un valore simbolico di opposizione rispetto alle incerte politiche del riformismo nostrano.Giovanni Rebecchini è nato nel 1938 e quindi precede la generazione che ha vissuto le lotte studentesche e di quella generazione ha sposato molte conquiste e molte idee innovatrici ma non il distacco dalla realtà professionale affrontando senza complessi e con leggerezza le difficoltà di ordine psicologico ed il contatto con i committenti almeno nei programmi edilizi e nelle scelte di fondo.Questa posizione gli ha consentito di realizzare un numero cospicuo di opere e con una fisionomia culturale che trae significato e valore proprio dalla sfida nei confronti della industria edilizia romana sempre poco proclive ad accettare sfide culturali.L’aspetto più interessante della sua produzione sta nel fatto che Giovanni Rebecchini non ne ha accettato la sbrigativa auto – liquidazione da alcuni dei protagonisti della moda decostruttivista e poi metamorfica obliquista oppure confluiti nelle file della retroguardia più evasiva.E’ avvenuto così – negando con decisione il concetto di moda della tabula rosa utilizzando la lezione del primi Purini guardando a Rossi e ai Five di New York prima della conversione e rimanendo in sintonia con la grande tradizione italiana degli anni cinquanta Rebecchini ha messo insieme un flusso ininterrotto di architetture di qualità configurando un frammento di quello che avrebbe potuto essere l’architettura italiana se non fosse stata dominata da crisi perpetue personali e collettive e non avesse visto quei conflitti generazionali che hanno dato vita in Italia a un fronte di giovani combattivi e dotati ma costretti per forza di cose in “Vers une architecture” scriveva nel 1920: “la lezione di Roma è per I saggi coloro che sanno e possono apprezzare coloro che possono resistere che possono controllare. Roma è la perdizione per coloro che non sanno molto”.Aveva ragione: capire Roma è un compito difficile.